Di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma
Di fronte a quello che sta succedendo a seguito dell’invito rivolto al Papa a presiedere l’apertura dell’anno accademico all’Università La Sapienza di Roma, mi viene in mente solo il vecchio adagio di Gino Bartali: “Tutto sbagliato, tutto da rifare”. Purtroppo, nulla si può rifare e si rimane attoniti spettatori dell’ennesimo colpo inferto, da ogni parte, alla asfittica laicità del nostro paese.
Le critiche all’iniziativa del rettore vengono - da destra e sinistra, da cattolici militanti e da chierichetti atei - stigmatizzate come violazione della libertà di parola. Tutti - compresi gli ex fascisti e gli ex-comunisti, dunque gli eredi delle culture non liberali - diventano profeti di liberalismo.
Ritenere non opportuno un invito a tenere un discorso è cosa diversa dall’impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni. Il Papa non è un semplice accademico che sostiene tesi controverse o formula ipotesi non condivise da pochi o da molti. Il Papa parla di valori non negoziabili, non formula ipotesi; pretende di esplicitare la verità; si pronuncia non come esponente di una delle varie religioni e confessioni presenti sulla agorà, ma come esperto di umanità in grado di indicare i fondamenti dello stato e i criteri di una corretta laicità. Il Papa pretende di sapere per tutti noi come si debbano rettamente coniugare fede e ragione. Se vogliamo, il Papa è anche l’ultimo sovrano assoluto per diritto divino. Benedetto XVI bolla la ricerca del pensiero scientifico e filosofico della modernità “post-cristiana” come dittatura del relativismo. Cioè pronuncia una drastica censura nei confronti di quello che è lo spirito della ricerca libera e senza presupposti che spero presieda all’insegnamento nelle nostre università. Benedetto XVI persegue, con grande intelligenza, una strategia di rimonta nei confronti della società laica e pluralista.
Tutto questo andava ricordato nel momento in cui lo si invitava. Si doveva sapere che il Papa non viene a discutere o a confrontarsi, ma viene per essere ascoltato con reverenza ed eventualmente accolto con una genuflessione. Si doveva sapere che era legittimo dissentire dall’invito, non perché si è oscurantisti ma perché non si può né si vuole riconoscere la pretesa che egli statutariamente e quindi inevitabilmente porta con sé. Per queste ragioni io non l’avrei invitato a presiedere l’apertura dell’anno accademico. Lo inviterei però, domani stesso, a partecipare come uno dei relatori ad un dies academicus: si darebbe un bellissimo esempio di cosa può essere una università libera e laica e veramente plurale. Perché - sebbene gli italiani, in primis gli atei devoti, di destra come di sinistra, non lo sappiano - qualunque “capo religioso”, persino il Papa, nella democrazia discorsiva è “uno dei relatori”. Nulla di meno - e va detto con forza e io lo faccio con assoluta convinzione - ma neanche nulla di più.
Una volta che l’invito - inopportuno a mio avviso - era stato rivolto, il Papa doveva parlare. Il dissenso era legittimo; se il dissenso poneva problemi di ordine pubblico - in una università il dissenso si esprime con il dibattito delle idee e con un po’ di humour - essi dovevano essere risolti come ogni altro problema di ordine pubblico. Nessuno, tuttavia, può essere posto al riparo dal dissenso che si manifesta nelle forme legittime. Tra l’altro, giova ricordare che Gesù si espose sulla pubblica piazza, senza aver prima negoziato con l’autorità le condizioni consone alla sua visita. Anzi parlò senza essere invitato. Ci pensino quelli che nel Papa ravvisano il Vicario e che oggi vedono in lui la vittima di un sopruso.
Chi pensava che Benedetto XVI fosse meno capace di “comunicare” del suo predecessore, ha oggi una bella smentita. Non andando alla Sapienza, il Papa diventa una vittima dell’intolleranza laica, la nuova inquisizione lo sta portando al rogo. Bisogna vegliare per lui. Me lo si lasci dire, visto che i miei antenati di inquisizione ne sapevano qualcosa: quando c’è l’inquisizione non si tratta di qualche sberleffo o magari di qualche insulto in mezzo ad un folla compunta e persino adorante.
Per giorni non si parlerà d’altro. E anche senza questo incidente, ogni giorno, dalla mattina alla sera, le televisioni italiane (l’Europa e il mondo sono un’altra cosa) parlano del Papa e dei suoi moniti e dei suoi rimbrotti e dei suoi non possumus che vogliono dire “non dovete”. Ora tutti faranno a gara per riparare, per scusarsi, per far vedere che - per quanto atei - si sa dare alla chiesa e al papa il dovuto riconoscimento. Per fortuna le occasioni non mancheranno: c’è una legge sulla libertà religiosa da lasciar sepolta; la 194 da rivedere; il riconoscimento delle unioni civili da non prendere neppure in considerazione; la vita da tutelare. Forse si potrebbe anche porre qualche limite alla diffusione dei contraccettivi. E poi siamo italiani, la fantasia non ci manca, sapremo come farci perdonare. D’altronde, se non abbiamo avuto Lutero, Kant e Jefferson non è colpa nostra.
venerdì 18 gennaio 2008
mercoledì 16 gennaio 2008
Motivi poco cristiani...
Ciao,
non sono solito commentare le sciocchezze... Tuttavia mi ci vedo quasi costretto:
il Santo(?) Padre (?) si è visto costretto a disertare l'incontro alla Sapienza, per non affrontare mediaticamente la protesta, per non dar più voce a chi ha saputo urlare a abbastanza da farsi sentire e mostrare la spaccatura che c'è nella società italiana.
Si adduce una motivazione che a quanto mi è dato di capire è davvero poco cristiana "non si va a trovare una famiglia divisa". A parte il riferimento familistico di cattivo gusto, mi chiedo come si possa sposare quest'opinione con la missine sacerdotale di cui Ratzinger è investito, e che contempla la riparazione delle divisioni - la guarigione e la pace. Da chi dovrebbe andare, evangelicamente, il medico? Dai sani o dai malati? E quindi se quei docenti e quegli studenti sono "malati" ed "accecati", perché non andare da loro, sicuri della propria fede e dell'assistenza di Qualcuno più in alto che sicuramente avrebbe ispirato le parole per rispondere alle provocazioni e riparare le ferite?
E' da queste cose che si riconosce, secondo me, il fico buono e quello cattivo.
Speriamo di essere perdonati tutti! :)
Stefano
riporto qui il link all'articolo di Repubblica
non sono solito commentare le sciocchezze... Tuttavia mi ci vedo quasi costretto:
il Santo(?) Padre (?) si è visto costretto a disertare l'incontro alla Sapienza, per non affrontare mediaticamente la protesta, per non dar più voce a chi ha saputo urlare a abbastanza da farsi sentire e mostrare la spaccatura che c'è nella società italiana.
Si adduce una motivazione che a quanto mi è dato di capire è davvero poco cristiana "non si va a trovare una famiglia divisa". A parte il riferimento familistico di cattivo gusto, mi chiedo come si possa sposare quest'opinione con la missine sacerdotale di cui Ratzinger è investito, e che contempla la riparazione delle divisioni - la guarigione e la pace. Da chi dovrebbe andare, evangelicamente, il medico? Dai sani o dai malati? E quindi se quei docenti e quegli studenti sono "malati" ed "accecati", perché non andare da loro, sicuri della propria fede e dell'assistenza di Qualcuno più in alto che sicuramente avrebbe ispirato le parole per rispondere alle provocazioni e riparare le ferite?
E' da queste cose che si riconosce, secondo me, il fico buono e quello cattivo.
Speriamo di essere perdonati tutti! :)
Stefano
riporto qui il link all'articolo di Repubblica
Iscriviti a:
Post (Atom)